E’ una domanda che mi sono incominciato a porre da un po’ di tempo, ma con una certa insistenza da quest’inverno.
E voglio partire dal logo di cui Roccaraso si dotò agli inizi degli anni ’80, perché credo che sia stato profetico nella sua espressione grafica e letteraria: Sciare a Roccaraso. Solo questo?
Per essere chiaro io credo che Roccaraso non sia più una località turistica, ma sia rimasta una località sciistica e di questo passo neppure questa se necessariamente si dovrà scrivere su questo logo al posto del suo nome quello di Aremogna, perché, come si dice: “tira di più”, tirerà di più, per sciare e basta.
Ma vediamo un attimo cosa affermano le scienze turistiche a proposito di una destinazione turistica, quale dovrebbe essere Roccaraso, che da diverso tempo è stata, e che gradualmente nel tempo ha perso le precise caratteristiche che dovrebbero essere la sua prerogativa come tale. Sono certo che qualcuno griderà contro questa ulteriore presuntuosa cantilena. Certo, e non finisce qui, fino a quando le cose cambieranno, ammesso che cambino e in meglio evidentemente. Perché ne ho profondo dubbio? Quando una malattia diventa cronica tornare ad uno stato di salute confortevole è cosa molto difficile.
Ma torniamo alla scienza, cosa afferma?
“Secondo la prospettiva di analisi di tipo economico-aziendale, una destinazione non può essere ricondotta semplicemente ad un luogo, un’ubicazione o, infine, ad un’area o località geografica-territoriale con confini amministrativi ben definiti; piuttosto, la destinazione turistica è da intendersi quale insieme di attività e fattori di attrattiva che, situati in uno spazio definito sono in grado di proporre un’offerta turistica articolata ed integrata, ossia rappresentano un sistema di ospitalità turistica specifica e distintiva, che valorizza le risorse e la cultura locali. Peraltro, lo studio condotto sul tema delle destinazioni turistiche fa riferimento, principalmente, ad un filone di contributi di matrice economico aziendale focalizzati sul governo della destinazione intesa come soggetto strategico e competitivo rispetto al quale è possibile formulare strategie di posizionamento, identificare fonti di vantaggi competitivi, identificare i soggetti, le risorse e le attività necessarie per realizzarli”.
Insomma un discorso complesso e non approssimativo, per non parlare di posizioni di effettiva retroguardia che si riscontrano in quella che non può essere più definita attività, per quel che ci riguarda. Roccaraso ha delineato in maniera ormai precisa di non avere più i tratti di una destinazione turistica; sono rimasti in piedi asfittici alberghi e l’unica e delimitata attrattiva è quella della stagione invernale, caratterizzata però dal “mordi e fuggi” infrasettimanale e da relative presenze nei weekend e in qualche periodo leggermente più lungo tra Capodanno e la Befana, Carnevale e Ferragosto.
Ecco perché inevitabilmente si dovrà scrivere “Sciare all’ Aremogna”, lo sciatore sarà attratto solo da quella destinazione sciistica, parte importante di un ricco comprensorio di piste e impianti, ma nulla di più. La località Roccaraso non offre più nulla, non si è aggiornata, non ha sviluppato attrazioni tali da spingere il turista a venire a trascorrere anche un breve periodo di vacanza. L’unico interesse che potrebbe trovare costui sarebbe lo studio di come si possa distruggere una rinomata e centenaria località turistica al ritmo incessante della costruzione di migliaia di seconde case, sorte per lo più con un’architettura disordinata e insignificante. Neppure le tanto decantate “tappe zero” di cantanti famosi e annunciate ai quattro venti, sono servite a migliorare una situazione sensibilmente compromessa, se non per sperperare denaro pubblico che poteva essere impiegato in maniera molto più proficua, se si considera anche di deficit di qualche migliaio di euro accumulato ogni volta. Chi ha sperperato quel denaro ne dovrebbe dare conto una volta per tutte e dimostrare quale effettivo beneficio ha ottenuto la dissennata iniziativa in presenza di una continua discesa di presenze turistiche. Sarebbe opportuno che si divulgasse il resoconto attraverso qualche pseudo-etereo giornalista locale che tanto ha elogiato quello che si è rivelato “a ragione” un sonoro bluff mediatico.
Non voglio affrontare il discorso su quanto tutto ciò sia sovrapponibile da parte delle località del circondario. Spezzo una lancia a favore di Pescocostanzo che ha un indubbio vantaggio, quello del suo incomparabile centro storico, ma che è ben lungi dal costituire un’attrattiva di carattere solido, cioè che induca il turista a programmare qualche giorno per dedicare tempo e interesse alla sua capillare scoperta, che è tutt’ora proposta e guidata in maniera frammentaria, approssimativa e priva del crisma dell’integrazione con le varie componenti di offerta che il territorio degli Altopiani Maggiori d’Abruzzo dovrebbe organizzare in maniera attrattiva.
Inutile nascondersi dietro un dito: qui di turismo non c’è più nulla, quassù si scia, bene, e basta.
Avevo scritto ieri queste riflessioni e manco a farlo apposta, stamane alla trasmissione Rai “Uno mattina” si è discusso sul turismo in Italia ed in particolare di quello montano. L’esempio portato è stato quello di Livigno e di tante altre località dell’arco alpino, che per consolidare la loro attrattiva sciistica gli hanno conferito un eccellente valore aggiunto con un insieme di attività e fattori attrattivi in grado di proporre un’offerta turistica articolata ed integrata, rappresentata da un sistema di ospitalità specifica e distintiva, che valorizza le risorse e la cultura locale. Appunto!
Ma da soli non si va più da nessuna parte e per quello che ci riguarda: “Altopiani Maggiori d’Abruzzo” dovrebbe essere per noi il sistema integrato di iniziative e servizi che diano valore aggiunto all’attività sciistica, relegata tra le nevi che cadono tra la pista Azzurra delle Gravare e l’omonima del Montepratello.