Ho trovato per caso, girovagando tra le varie immagini pubblicate sul web, quella che vede tante mani colorate che si protendono verso la frase: L’accoglienza è nelle nostre radici.
Collocando questa frase nell’ambito della prevalente attività di ospitalità di Roccaraso, essa trova, dovrebbe trovare alla perfezione, che ogni lineamento di quelle mani, di quelle dita, di quei colori, sono, siano tutti al posto giusto, che siano a loro agio, come se fossero nati lì, nel luogo che altro non potrebbe essere per loro.
Chi ospita deve essere accogliente per forza. È un dogma. Ma questo non sempre è vero, soprattutto quando varie ragioni ambientali, sociali, umane, ne vanno a modificare lo spirito e quindi l’intento che evidentemente, trattandosi di attività rivolta al soddisfacimento dei bisogni della comunità ospitante, ne viene a soffrire e a rendere l’accoglienza stessa un mero obbligo, privo di tutto quel corredo di passione, abnegazione, simpatia, educazione perché no, desiderio di mettere ad ogni costo a suo agio il turista e far sì che resti meravigliato e gratificato del suo soggiorno. Spinto altresì a raccontare positivamente la sua esperienza e condurre quindi col suo racconto, oserei dire entusiasta, chi lo ascolta a recarsi anch’egli nel luogo così apprezzato.
Le radici, le nostre radici. In molti, anch’io ho sempre scritto che la nostra attività di ospitalità è praticamente nata con l’arrivo del treno il 18 settembre 1897. Escludo da queste riflessioni l’ospitalità spicciola, quella di un’ora di sosta per rifocillarsi o di una notte per riposarsi presso l’antica “Locanda di Posta” di Giuseppe Del Castello, svolta al culmine della strada che arriva da Castel di Sangro. Fu proprio questa struttura che con l’arrivo del treno e il conseguente svilimento del viaggio in diligenza, vide la sua trasformazione in albergo Maiella, il primo di Roccaraso. Poi mi è accaduto in questi giorni di freddo e di tranquillità quiescenziale, di aver ripreso tra le mani un libro di colore celeste, senza immagini, dal titolo Ragguaglio istorico della terra di Roccaraso e del Piano delle Cinquemiglia di Vincenzo Giuliani nella edizione critica dell’autografo a cura di Don Edmondo De Panfilis, parroco di Roccaraso dal 1946 e per circa trent’anni.
Qui ho riscoperto, avendola già letta in precedenza, l’interessante e ai più sconosciuta storia del mio paese. In particolare i personaggi che nei secoli scorsi vi soggiornarono o perché di passaggio e approfittarono dell’amenità del luogo o perché giunti apposta per godere della bellezza degli altopiani, delle montagne che li circondano, della natura ricca e confortevole.
Nel Settecento un personaggio che vi si recava ogni anno per lunghi soggiorni <<per l’aria aprica e monticosa>> fu il Vescovo di Sulmona S. E. Bonaventura Martinelli, che ivi morì il 19 agosto 1715. Mentre la salma fu sepolta nella Cattedrale di san Panfilo in Sulmona, il suo cuore fu sepolto nella chiesa parrocchiale e il suo nome fu ricordato con una solenne lapide in latino.
Altri ospiti illustri di Roccaraso furono, a meta Settecento, Carlo di Borbone, Capitano Generale dell’Arma del Regno di Spagna, Francesco II d’Este, Duca di Modena, il Cardinale D. Troiano d’Acquaviva, Arcivescovo di Napoli, il Principe Don Marino Caracciolo e la Principessa Buoncompagni di San Buono, insieme a Don Costanzo Caracciolo e Don Pasquale Acquaviva, divenuti cardinali e che afferma il Giuliani <<vennero e, per più giorni, a diporto in questa terra e tanto di essa si compiacquero delle sue campagne, che videro cebate e del loro riposo per l’aria aprica e monticosa. Più volte, nei secoli precedenti, qui passarono e sostarono per riposarsi andando a Napoli, San Giacomo della Marca, San Giovanni da Capestrano e San Bernardino da Siena in onore del quale, appena morto e santificato, quale particolare protettore, nel 1690 i roccolani edificarono, in memoria un devoto tempio, successivamente rinnovato nel 1751, all’inizio del paese, ristrutturato poi intorno al 1950.
Queste annotazioni scrive Don Edmondo <<sottolineano fin dall’antichità i valori climatici e ambientali di Roccaraso, sulla base dei quali, con l’arrivo del treno del 1897, si aprì alle prime realizzazioni turistiche, ospitando nei palazzi dei baroni Angeloni, in quello della famiglia Patini e nella antica casa della suora Ferretti i primi villeggianti provenienti da Roma e da Napoli. Ben presto sorsero i primi alberghi>>.
Ecco quindi che le riflessioni da me enunciate a proposito dell’accoglienza trovano addirittura origine in un passato remoto, cioè in una distanza tale che è paragonabile a quella della bella chioma dell’albero con le sue profonde radici. Oggi questa chioma è un po’ svanita, ma non per i rigori impressi spesso da stagioni capricciose, bensì da una estremo disinteresse riservato dai suoi rami maturi a quelli più giovani, che dovrebbero trovare linfa a iosa. È una chioma che non attrae più lo sguardo. I rami più robusti, quelli che avrebbero dovuto cedergli il passo nell’ampiezza dello sviluppo, sono rimasti asfittici, si sono contorti al punto di impedire a quella linfa, proveniente da sapienti radici, di circolare libera e rigogliosa, rinvigorente e benefica. La capacità dei rami più giovani di proiettarsi tutt’intorno è stata distorta e tarpata. Roccaraso è una pianta asfittica. E per di più hanno preso inconsulto vigore quei rami contorti e distorti che dovevano essere potati da mani sapienti. Mentre mani insulse hanno tagliato i rami migliori, hanno consentito che in tanti, nel corso delle varie stagioni di mezzo, mettessero mano a stridenti seghe per capitozzare i rami migliori, per farne fuoco di camino. E così quelli più giovani nati come una peluria l’estate successiva, al carico della prima neve si sono spezzati e non hanno potuto dare il loro prezioso contributo a far si che l’accoglienza ombrosa dei caldi estivi corroborasse il riposo del turista e abbandonasse questo quella che è stata e che dovrebbe essere la bella località di soggiorno, di riposo e rinvigorimento degli spiriti cittadini d’intorno.
Perciò con grande umiltà ripensiamo e riorganizziamo con passione e sacrificio, ma anche con “determinazione”, la chioma di quella che deve tornare ad essere una bella e robusta pianta, forte delle sue radici, che sono profonde nel tempo, capaci ancora – e bisogna crederci fermamente – di imprimere vigore alla ospitalità e all’accoglienza di Roccaraso.