Pillole di storia
Due giovani coniugi architetti e frequentatori assidui di Roccaraso un po’ di tempo fa mi cercarono per farsi raccontare la storia di una certa fontana e gliela raccontai, così come l’avevano raccontata a me.
Qualcun altro me l’ha nuovamente chiesto e così ci ritorno su.
Il viaggiatore che nei secoli scorsi saliva da Castel di Sangro, prima di affacciarsi all’incomparabile spettacolo degli Altopiani, la cui porta d’accesso era costituita dalla Rocca sul Rasine, l’attuale Roccaraso, stanco e assetato, sia che fosse estate, sia che fosse inverno, si fermava stremato dopo l’erta esse sterrata chiamata “Sferra cavallo”; ed è facile intuire dalla denominazione assunta quale fosse la difficoltà a superarla sia da parte dei cavalli che tiravano le diligenze, che da parte dell’uomo il quale a piedi trovava in quel punto la massima pendenza della salita. Appena più sopra, tra i lussureggianti alberi di cerro e a ridosso di una fresca sorgente un eremita, che nel passato era vissuto li dintorno, aveva costruito una piccola fontana sormontata da una bella pietra scolpita a mo’ di conchiglia che raccoglieva l’acqua sempre fresca ed in attesa di ristorare l’assetato di turno.
Si chiamava, appunto, “Fontana dell’eremita” e quella località nel corso dei secoli, anch’essa prese il nome di “Fonte dell’eremita”, in dialetto roccolano Fondrumita.
Nel dopoguerra credo, in quella zona il Corpo Forestale dello Stato realizzò un vivaio dove si coltivavano specie arboree, prevalentemente conifere, per via del fatto che attecchiscono e crescono piuttosto velocemente. Queste piante erano indispensabili per soddisfare l’enorme richiesta di rimboschimento di vaste aree letteralmente spennate dai tedeschi per esigenze di guerra lungo la linea Gustav che in questo territorio trovò il suo centro nevralgico. Venivano coltivate in un angolo ben definito anche specie arboree meno note e a rischio estinzione da tramandare ai posteri con certezza. Però non so se il vivaio oggi sia ancora aperto ed efficiente, perché in questa nostra Italia impazzita non solo hanno tagliato e quasi distrutto la sanità, ma anche tante altre cose belle e utili.
Poi, lì affianco fu consentito di costruire proprio in mezzo al lussureggiante bosco di cerri un albergo dal nome esterofilo “Flamenco Park Hotel”, aveva come simbolo un fenicottero ed era assiduamente frequentato dai soldati americani della NATO di stanza a Napoli. Era gestito da una nobile famiglia, il barone Pietro Giunti e Maria Gabriella San Martino di Strambino, proprietari tra l’altro di un albergo a Sangineto in Calabria. Ma la famiglia divenne famosa per via del figlio Ignazio, corridore automobilistico di Formula uno agli anni inizi degli anni ’70 con la scuderia Ferrari. Purtroppo Ignazio alla guida della 312BP perì in gara nel circuito automobilistico di Buenos Aires; si schiantò dietro la Matra di Jean-Pierre Beltoise. Quell’albergo non c’è più. Ma lasciamo perdere, non ne voglio parlare altrimenti esco fuori tema. E così torniamo alla fontana.
Con lo sviluppo della viabilità ferroviaria e stradale pian piano quella fontana non fu più curata e incominciò a restare nascosta dietro arbusti e vegetazione spontanea, che l’avvolsero escludendola allo sguardo del viaggiatore e dell’automobilista ed alla loro sete, compensata dagli accoglienti bar della stazione ferroviaria e quelli posti a margine del viale di Roccaraso quando questa diventò una nota e ambita meta turistica e sciistica.
Un inverno degli anni ‘30, con la neve in ogni dove, alcuni giovani roccolani decisero di recuperarla al suo scopo, staccarono dal basamento la pesante conchiglia, la caricarono su una capiente e robusta slitta tirata da buoi e la portarono davanti agli alberghi Milano e Montemaiella che si guardavano di fronte dove oggi c’è la piazza principale del paese.
A primavera la conchiglia fu sistemata al centro di una fontana ovale in mezzo ad un fitto giardino a roseto che si allungava trasformandosi in una bella villa di alberi a foglie fin verso i campi di sci. I vecchietti del paese col bel tempo si sedevano al bordo della vasca. Mentre il turista, dal rubinetto posto lì accanto ristorava la sete e lo spirito dopo una passeggiata sul viale, al ritorno di un’escursione sulle cime d’intorno o dopo l’ultima discesa con gli sci con i quali rientrava direttamente in uno degli alberghi posti lungo il viale che conduceva alla stazione ferroviaria. Il paese posto più in alto la vegliava di giorno e di notte, compiaciuto di quella frequenza e al solo pensiero di averla quasi persa in quel luogo che si stava progressivamente inselvatichendo.
Nell’autunno del 1943 arrivarono i soldati tedeschi che tutto distrussero. Anche la fontana subì la teutonica furia e salva nella sua forma restò adagiata per terra dove un giorno fu raccolta e posta nel cortile della nuova scuola elementare, sorta appena più sopra, dove la bella villa fu occupata dal nuovo centro cittadino.
Ma la vita dell’ ”eremita” non trovava pace e un’altra distruzione interessò quel luogo, quella dell’edificio scolastico, che alla fine degli anni ’70 fu gettato a terra per far posto ad un discusso fabbricato destinato a sede municipale. La conchiglia fu portata – per fortuna che qualcuno si intenerì per la sua sorte – nel piccolo cortile del mattatoio comunale. Vi restò per diversi anni fino a quando un certo Ugo per caso la scovò e si adoperò per riportarla alla vista della gente. Trasporta con un moderno spartineve fu adagiata sotto l’abete che fa ombra al curvone della strada che sale da Castel di Sangro e immette direttamente in piazza, sorta nel luogo dove un giorno la conchiglia di pietra arrivò a bordo della slitta e dove fu sostituita da una bella fontana di pietra squadrata. Ma anche questa oggi non c’è più, c’è il nulla.