Cosa accadde nel teatro di Roccaraso prima del Natale del 1942 ?
C’è amicizia, stima e affetto con il novantaquattrenne Erich Kostner, che durante la sua vita ha realizzato ben 60 impianti di risalita in Val Badia. È un rapporto sorto nel 2003 in coincidenza con la pubblicazione del mio libro “La slittovia di Roccaraso, dicembre 1937”. Erich incominciò la sua attività costruendo una slittovia nel 1938 sul Col Alt a Corvara. Qualche tempo dopo, con una bella lettera, tra l’altro, mi confidò che avrebbe voluto scrivere la sua storia, ma l’età avanzata non lo aiutava più nell’attività di scrittore.
Data la distanza che ci divide, ogni tanto compio un viaggio virtuale nella sua terra attraverso il Web e mi informo su ciò che accade in quella vallata stupenda. Qualche tempo fa ho scovato la fiaba che racconta di un calzolaio, alcuni gnomi e quello che gli capitò tanto tempo fa. Così, ripensando ad un particolare della mia fiaba, quasi per gioco, ho scritto sostituendo a quel racconto personaggi, cose, situazioni.
Spero che Erich e anche voi mi perdoniate se ho osato tanto, “rubando” la trama al racconto dolomitico, ma giuro che non lo farò mai più.
Il sarto del teatro
In fondo al cielo, proprio dietro il cono di Montemiglio, un soffuso e intenso bagliore annunciava il sorgere della luna e nella sala all’ultimo piano del teatro di Roccaraso il sarto don Filippo alzò la testa e allungò lo sguardo per ammirare i nitidi contorni delle montagne dintorno. Stava curvo su un piccolo tavolo intento a disegnare un paio di abitini sulla stoffa di lino, uno per un bambino e uno per una bambina, i quali avrebbero rappresentato una divertente scenetta per festeggiare il Natale dell’asilo delle suore. Era stanco per colpa di quella posizione curva che gli anni non reggevano più. Così, appoggiando le mani al tavolo, si alzò definitivamente, mentre la luna in tutto il suo splendore sembrava che lo stesse seguendo nel lento movimento.
Don Filippo chiuse la porta e tornò a casa. Ma il mattino successivo, quando la riaprì si accorse, con grande sorpresa, che gli abitini erano già confezionati. Non riusciva a capire cosa fosse accaduto e per tutta la giornata non combinò nulla se non esaminare ripetutamente di soprassalto e sbalordito quei vestitini che apparivano cuciti da mani esperte. Ma di chi? Alla fine sbottò abbandonando ogni cosa e corse a raccontare alla moglie l’accaduto. Questa lo ascoltò e con un borbottio inquisitorio e pungente gli chiese se si fosse ancora fermato a bere con gli amici alla cantina. Il marito negò energicamente, questa volta a ragione. La moglie allora lo accompagnò al teatro e lo obbligò a passarvi la notte per cercare di capire l’accaduto.
Il sarto, che di coraggio non ne aveva neppure un po’, verso la mezzanotte, quando la sua fantasia si barcamenava tra streghe e fantasmi e le vecchie travi del tetto, raffreddandosi un po’, incominciarono a parlare tra di loro, impaurito sempre più, si precipitò nel cortile del teatro e fuggì spaventato, inciampando spesso alle selci della strada. La moglie, che lo vide arrivare sbiancato in volto, impietosita lo aiutò a stendersi sul letto.
Siccome era un donna energica e coraggiosa corse al teatro e si nascose dietro a una grande tenda in attesa che potesse accadere ancora qualcosa.
Erano ormai le tre quando un cigolio della porta ruppe il silenzio della notte e apparvero quattro gnome e quattro gnomi che portavano una lanterna in mano. Si arrampicarono sul tavolo e trovato un altro pezzo di stoffa malamente tagliata dal sarto a mo’ di babbucce, per via del nervosismo che lo aveva attanagliato, incominciarono a cucirla e ci applicarono pure dei bei fiocchetti di lana colorata passata ai ferri dalle gnome, che resero graziose le calzature per i due bambini.
Quando scomparvero l’energica donna stupefatta corse a casa, svegliò il marito sudato che sembrava chissà cosa stesse sognando e gli raccontò la scena per filo e per segno.
Il fatto colpì intensamente i due coniugi che avevano sempre sentito parlare degli gnomi, ma non pensavano che esistessero davvero. Così il giorno dopo andarono nella grande sala del teatro e confezionarono otto abitini colorati per loro, non dimenticandosi di corredarli di otto cappelli che ricordavano il cono di Montemiglio, la montagna cara ai baroni Angeloni, che s’intravedeva in fondo, oltre gli archi delle finestre. Fatta sera li lasciarono sul tavolo, ordinati in cerchio, con i coni verso l’interno che sembrava una torta e tornarono a casa.
Si addormentarono che era quasi mattina e fino ad allora, mano nella mano, come non gli era mai accaduto, con gli occhi che guardavano le stelle sopra i grandi abeti, fantasticarono su ciò che potesse accadere nella grande sala dove di notte, verso la mezzanotte, le grandi travi del tetto parlano tra di loro.
Infatti, anche quella notte gli otto gnomi salirono lassù e trovati gli abitini nuovi di cucito li indossarono, si misero in testa il cono di stoffa e danzarono sotto i raggi della luna che si erano infilati nel salone attraverso l’abbaino, ma non tornarono più.
Alla fine dell’inverno andarono per sempre a vivere tra le rocce che cingono il grande “Cucchiaio” della Valle delle Gravare, su all’Aremogna, dove ancora oggi la natura ogni primavera perpetua un fiore con il gambo provvidenzialmente peloso.