Io c’ero anche quella volta. Era un placido e tiepido mattino primaverile di uno dei primi anni del ‘900. Ero seduto su una pietra squadrata e adagiata all’ombra di una pianta, prima del curvone della strada che scende a Castel di Sangro. Con me c’era il vecchio Giovanni, stalliere dell’antica Locanda della Posta di Giuseppe Del Castello, che sorgeva dall’altra parte della strada. Quando, in fondo alla strada che portava i viaggiatori da Sulmona fin quassù, l’inconfondibile il nitrito dei cavalli e il rumore dei ferri sulla ghiaia della statale suggerì a Giovanni, non senza sorpresa, l’arrivo di due carrozze della leggendaria Messaggeria degli Abruzzi della ditta Fiocca.
Erano passati diversi anni, da quel primo treno del settembre 1897. E l’unica diligenza rimasta in servizio accompagnava ancora qualche viaggiatore incallito, o perché impaurito dal mostro di ferro o perché attratto da un viaggio sicuramente meno veloce, ma più affascinante lungo il percorso dell’antica Via degli Abruzzi verso Napoli. O la sera, con sosta presso la locanda di Roccaraso, verso L’Aquila.
Apparvero due carrozze trainate da otto cavalli. Crocco, il cocchiere della prima – poveretto, gli erano rimaste solo sette dita, quattro alla mano destra e tre alla sinistra, a causa di un congelamento sofferto tre inverni prima – tirò le briglia e con un urlo misto a parole incomprensibili, fermò i quattro cavalli sudati. Mentre Giovanni sostituiva gli animali con altri freschi e riposati. Crocco e l’altro cocchiere saltarono giù per aprire gli sportelli delle carrozze. Dalla prima scesero sei persone, che scoprimmo essere: il padre, un nobile del Cantone dei Grigioni, l’austera ed elegante moglie, due giovinette con l’insegnante tedesca esperta di botanica e il cuoco Nicola Angelo di Sciullo, un abruzzese di Villa Santa Maria che prestava servizio presso di loro in Svizzera, ma che per l’occasione si prodigava come guida nella sua terra; dall’altra carrozza scesero un baffuto maggiordomo e un altro amico della famiglia, un vecchio ufficiale italiano del Genio militare, conoscente del barone Giuseppe Andrea Angeloni dai tempi dell’Unità d’Italia, stabilitosi a Coira capitale dei Grigioni cessato il servizio militare. I due quasi facevano la guardia ad una catasta di bauli e valige. Il barone Angeloni aveva più volte raccontato all’ex ufficiale italiano ora membro della Società svizzera di scienze naturali dei fiori che nascevano in montagna a primavera, specie orchidee. Il viaggio quindi doveva essere occasione di studio per le due giovinette, che avrebbero passato il loro tempo catalogandole. Ma per l’ufficiale il viaggio era motivo per conoscere i luoghi di origine della famiglia del barone, ormai famoso anche in Svizzera per la sua ferrovia che tanto somigliava a quelle alpine.
Agli ospiti gli Angeloni riservarono due grandi appartamenti per una ventina di giorni. Il gruppo rimase affascinato dalla natura degli Altopiani e dagli esempi architettonici di Pescocostanzo, Rivisondoli e Roccaraso.
Il cuoco, finito il servizio, si attardava nella cantina sotto l’antica torre. Lì, chiacchierando con gli uomini del paese, apprese che grazie al treno, d’estate molti viaggiatori riempivano le case patrizie per visitare questi luoghi sconosciuti e ricchi di storia che incominciavano ad aprirsi al mondo. Fu così che il cuoco, rientrato in Svizzera, cominciò a pensare di tornare a casa, nel suo Abruzzo, proprio in quella Roccaraso che l’aveva stregato. L’amore per la terra d’origine era accompagnato da un progetto imprenditoriale: con il denaro guadagnato durante gli anni di servizio avrebbe costruito un albergo. Prima ancora della posa della prima pietra, pensò al nome: Palace Maiella, la montagna madre degli abruzzesi.
L’albergo nacque e subito ne seguì un altro. Giuseppe Del Castello ben preso intuì che la sua attività di locandiere senza più carrozze non avrebbe avuto futuro. Era il momento di trasformare l’antica Locanda della Posta nel secondo albergo di Roccaraso, che chiamò Montemaiella. Il Palace, intanto, proprio di fronte, dopo solo un anno di attività era pieno di visitatori, soprattutto nobili che arrivavano da Roma, da Napoli, perfino dalla Sicilia. Anche molti stranieri continuavano a salire su queste montagne, tutti per respirare aria buona, chi per compiere escursioni nei boschi e sulle vette più alte fino al Monte Greco, chi per conoscere le opere d’arte nei paesi vicini, chi per studiare la flora, custode di varietà spesso sconosciute.
Insomma, quel treno aveva rivoluzionato il ritmo di esistenza della gente di montagna. Qualcuno incominciò ad abbandonare l’attività da pastore per lavorare in quegli alberghi dove gli ospiti gustavano la cucina abruzzese preparata da due valenti cuochi di Villa Santa Maria, chiamati da Nicola Angelo. Anche loro avevano lasciato il servizio presso le famiglie dei nobili contribuendo a sviluppare una nuova cultura dell’ospitalità.
Ugo Del Castello
dal mio libro:
Roccaraso, due solchi sulla neve lunghi 100’anni